LA RIFORESTAZIONE DEL PARCO DEL PINETO – parte seconda: LE OPERAZIONI

Il primo nucleo delle missioni di aerial sapling bombing nel Parco del Pineto fu dedicato ai pini. Un atto dovuto? La presenza di quest’albero a Roma era dovuta essenzialmente ad un mito moderno. L’iconografia che si cita a supporto di una sua presenza primitiva è piuttosto recente. Se anche a Napoli quello di Posillipo fu piantato attorno al 1850 Ottorino addirittura se li compone nel 1924, un tempo, il suo, nel quale l’albero italico per eccellenza godeva di fortuna imperiale e di fughe verso il mare; nemmeno la regina viarum ne era stata, per secoli, immersa nell’ombra. C’è poco di primitivo che sia sopravvissuto all’ordine e alle selezioni del sistematico Ottocento, come le mele, le razze dei cani, la varietà dei tartan, tutte creazioni del secolo che ha insinuato l’inganno delle leggende.

Per quanto tracce esigue di pino domestico all’interno di quello che oggi è stato definito Parco del Pineto figurino nel tardo Secentesco Catasto Alessandrino1, ciò che conosciamo come Pineta Sacchetti risale all’iniziativa del principe Torlonia, che nel 1861 ne mise a dimora 350 esemplari. Semplicemente, l’estrema disponibilità dei semi, la facilità con la quale pinoli e ghiande potevano essere raccolti nel quartiere e poi germinare su ogni balcone, lastrico, terrazzo, giardino in un pugno scarso di terriccio, furono gli elementi che portarono a una massa critica tradizionale da combinare con specie diverse e alloctone che corrispondevano ad altre esigenze sia per quanto riguardava una superiore adattabilità alle nuove condizioni ambientali e climatiche che per un maggiore effetto di assorbimento di CO2, come il miscanto.

Il primo volo fu effettuato l’11 gennaio 2028. Decollato da una pista in erba lunga 750 metri nel comune di Barbarano Romano – un tempo nocchieto intensivo, al limite per le prestazioni del velivolo – il bimotore Fairchild C119-G Boxcar battezzato Jean Gionó e completamente verniciato di nero sganciò 200 vasi biodegradabili che contenevano giovani piante di pinus pinea.

A causa della presenza del Forte Braschi il pilota era costretto ad adottare un profilo di volo che consentisse di evitare il rilevamento e l’intervento della batteria di SAMP-T in carico all’Agenzia Informazioni e Sicurezza Esterna, mentre il sorvolo di parte di un’ormai abbandonata Città del Vaticano necessario per infilarsi nel canalone di Valle Aurelia non rappresentava, dopo il definitivo trasferimento della Santa Sede ad Avignone seguito agli indecorosi episodi del Giubileo del 2025, un problema rilevante.

Si calcola che nelle 82 missioni effettuate dall’11 gennaio 2028 al 4 aprile 2029, siano stati sganciati oltre 3000 sapling di pinus pinea, 1800 di quercus di varie specie, 800 di faggi, 600 di cipressi ed aceri, 400 di ginkgo biloba. Insieme alle piante vennero scaricati circa un milione di semi tra miscanthus giganteus e girasole, ai quali vanno aggiunti un numero imprecisato di bomb seeds a fiori misti e involucro in sabbietta di gatto preparati in clandestinità nelle scuole elementari e medie del quartiere. Da rilevazioni sul terreno il rateo di successo per i pini era attorno al 65%, e del 45% per le latifoglie, più sensibili alle variazioni nella traiettoria di caduta. Quattro pattuglie discrete di canari (Compagnie Thai, Zagor, Lola e P.L.I.) provvedevano sia alle rilevazioni sia a piccoli interventi di agevolazione e aggiustamento nelle zone più accessibili. Dopo vent’anni da quelle operazioni, il risultato è sotto gli occhi di tutti.

Il loadmaster del Jean Gionò con uno dei sapling di pinus pinea prima del decollo

Come tutti sappiamo oggi il Parco del Pineto è una delle oasi di biodiversità più estese e complesse d’Europa e assicura a questo piccolo centro tornato, con i suoi 400.000 abitanti, ai livelli dei primi del Novecento, aria ‘bbona e legna per l’inverno.

1 Ma non dove li conosciamo oggi: “poche ed esigue porzioni coltivate a pini, fra le quali primeggia quella piantumata sul declivio sabbioso di una collina che servì di naturale sfondo ai guardini del casino barocco”. Da Memorie letterarie e storiche di una pineta romana di Stefano Panella, in Strenna dei Romanisti, 21 aprile 2013.

wildlife gossip aveva affrontato l’adattamento al roseo futuro già in BANCHE A BOCCEA. All’immaginazione si affiancano prassi e militanza, non è che uno rimane alla scrivania a scrivere storie fantastiche, dopo si esce con la vanghetta a piantare alberi. Articoli sul Parco del Pineto meno fantasiosamente o profeticamente digressivi si trovano su OLTREROMA.

LA RIFORESTAZIONE DEL PARCO DEL PINETO – parte prima: I PRODROMI

Agli inizi degli anni Venti, preso atto che nel fruscio degli aghi di pino e dei pezzi da venti era irrinunciabile il richiamo del tongits, che i mountainbiker insieme alla pompetta e alla camera d’aria di scorta si portavano l’ascia e la sega per agevolarsi, giù alle sabbie, il downhill tra le radici delle sughere, che i mugolii mercenari traguardando il centro della Cristianità oltre i grattacieli non erano ancora sopiti, che alla fotosintesi del grande albero di fico avevano partecipato, la legge parecchio dietro col fiato grosso, sessant’anni di sostanze psicotrope, che al cimicione americano (leptoglossus occidentalis) che aveva decimato le pinete costiere della Toscana, alla cocciniglia (toumeyella parvicornis) e al blastofago (tomicus piniperda) si era aggiunto il nematode (bursaphelenchus xylophilus) e che nessuno era veramente interessato a combatterli, molti decisero che era venuto il momento di far da sé.

Monco ma sempre troppo sexy, irresistibile il richiamo di farci due euri

Com’è noto, l’affermazione dell’io a brevissimo termine nelle elezioni amministrative di Roma del 2026 sancì un ricambio nel sistema dei valori e delle possibilità. Nel paniere dei diritti civili, via quello all’istruzione, dentro quello al wi-fi, basta con il giusto processo, evviva l’acqua frizzante1. Se molte delle iniziative – ingresso nella fascia verde esclusivamente delle auto elettriche ma solo se con massa superiore ai 5000 kg e con una sola persona a bordo, ”internet delle cose” esteso non solo alle pensiline dell’autobus2 ma anche alle targhe toponomastiche, l’affitto breve come obbligo inderogabile per ogni alloggio di proprietà almeno per 15 giorni nell’anno solare – furono a carattere comunale, ai singoli Municipi vennero conferiti ulteriori poteri. Una delle più brillanti e temerarie iniziative nel 13° fu quella dedicata alla Pineta Sacchetti. Fu votato l’abbattimento totale degli alberi, la vendita e la redistribuzione tra i residenti dei proventi. Per quanto talmente avanzata da meritare lo In.In.3 European Award 2026, non fu possibile attuarla a causa di un’altra norma appena introdotta nell’amministrazione capitolina, e cioè la possibilità per i singoli Municipi di schierarsi diplomaticamente al pari di qualsiasi ente statuale. L’invasione di Taiwan del 2027 per la celebrazione del centenario della nascita del Grande Timoniere vide il 13° schierarsi per Pechino ma il 14° per Taipei, col conseguente blocco di ogni attività incidente sul territorio comune. Fu un peccato, una scalogna spilorcia, tanto che i residenti già, per così dire, si erano sentiti i baiocchi in saccoccia appena l’Assessorato all’Ambiente diffuse calcoli e ripartizioni, cioè

V = 0,60² x 3,14 x 20 x 0,33 = 7,46 mc

arrotondati a 9 con le ramaglie (ma senza radici) e moltiplicati per il peso specifico di un pino mezzo fresco e mezzo morto

(è il 27 gennaio 1935 quando per sfuggire al bobtail di C.S. Lewis – è fuggito accidentalmente? lo scrittore lo ha lasciato libero intenzionalmente? non lo sappiamo – nel Fellow’s Garden del Magdalen College il gatto di Schrödinger si arrampica sul ramo basso di un pino, il cane abbaia furiosamente, sbatte i denti, il vecchio felino è paralizzato dal terrore, è lì che avviene l’epifania)

molto variabile, quasi volubile, tra i 380 e i 1080 kg/mc, poniamo un quattro e cinquanta che fa

9 x 450 = 4050 kg = 40 quintali e mezzo

moltiplicati per gli alberi superstiti dei Torlonia, che ne piantarono 350, alcuni sicuramente sostituiti come a scadere del turno minimo di 80 anni che tutti conosciamo fondamentale per mantenere costante la redditività, quindi tra abbattuti ed esili facciamo un 300

40,5 qli x 300 alberi = 12150 qli

e rimoltiplicato il tutto per un prezzo al quintale, per un legno di scarsa resa come quello di pino, di, che ne so? dimezziamo il costo della buona cerqua, 5 euro?

12150 qli x 5 € = 60750 €

diviso per i 130.000 residenti del Municipio faceva la bellezza di

60750 € : 130.000 = 0,467 €

che era sempre un mezzo caffè, tanto per dire di come fosse effettivamente conveniente per una comunità consapevole barattare il fastidio dell’ossigeno e del paesaggio per un’irrinunciabile gioia quotidiana.

1 Importato da Oltralpe come i gilets jaunes, i supermercati e i megastore di sport, il movimento pétillant si propagò rapidamente in tutto il Paese.

2 Nel 2023 l’installazione di una nuova pensilina come “cosa senza internet” aveva un costo di 10.000 euro, una cablata e intelligente parte dal doppio (cfr. per esempio https://www.romatoday.it/politica/giubileo-2025-fermate-hi-tech-quanto-costano.html).

3 Individualistic Innovation European Award, conferita nell’aprile del 2027.

POJI-ZIGLAT – IL PADRE DI FRANCO BATTIATO

Poji-Ziglat, Il padre di Franco Battiato, Mal’Ider Records, 2022

POCKET OPERATOR PO-14 CASE made freehand with 3D pen

Few grams of ABS filament, just freehand, no frills, nailing right the point of balance

MAKING HEARTS WITH A 3D PEN – Disegnare cuori con la penna 3D

Avvolgere casualmente a matassa il filamento di ABS attorno a sezioni squilibrate si presta bene alla rappresentazione dell’immagine dell’amore, nient’altro che suggestione e dispetto.

Nell’amor puro tutto è un riflesso del proprio privato medesimo cuore: cioè: che si cerca esclusivamente il simile; oppure il simile in realtà nemmeno serve. Tra gli specchi dei portacipria l’unica certezza è che quello oro è l’ABS più fragile, si spacca quando il motorino prova a caricarlo e si spacca dopo che è stato filato: occhio all’oro. dunque.

A COSA SERVE LA PENNA 3D – What’s the use of a 3D pen

Utilizzata a mano libera, la penna 3D ha un suo carattere organico: il programma della sua evoluzione persegue un obiettivo generico, che è la crescita del filamento. La penna 3D è un epifita, può abbracciare e ingoiare piccoli oggetti come una gazza ladra, serbandoli tuttavia nella loro vita. Gli stessi supporti assurgono a gratificazione a traliccio.

As a freehand tool a 3D pen has got an organic nature whose the only sure aim is the growth of a filament. A 3D pen is a epiphyte, can hug and swallow small items as a magpie keeping them alive though. A stand itself reaches the fulfillment of a lattice.

Qualsiasi opera con la penna 3D che superi i 21 grammi è solo corpo.

Every work exceeding 21 grams it’s just a corpse.

L’unico tentativo di realizzare qualcosa di realistico è stata questa mantide gigante che minaccia una biblioteca pubblica (oggi visibile nell’atrio della Casa del Parco, via della Pineta Sacchetti 78, Roma)

The sole attempt to give the 3D pen a realistic chance was this deadly mantis threatening a public library (now at Casa del Parco, via della Pineta Sacchetti 78, Rome).

Ancora la biblioteca Casa del Parco, stavolta utilizzando tutte le possibilità espressive dei filamenti di ABS nei quali si sfilaccia il cinquecentesco Casale del Giannotto.

Another point of view of Casa del Parco, the late XVI century building drifting away in abs filaments while a pinetree rises from a book.

Le possibilità espressive in LA DONNA SONO LE ALI DELLA RIVOLUZIONE dedicata alla fotografa e rivoluzionaria Tina Modotti e utilizzata per la locandina dello spettacolo scritto e diretto da Silvia Mattioli (Collezione Mattioli)

The lattice structure give life to THE WOMAN ARE THE WING OF REVOLUTION, made to celebrate the 80th anniversary of the death of the photographer and revolutionary political activist Tina Modotti. This work was the base for the poster of CORPI DISPERSI – TINA MODOTTI, written and directed by Silvia Mattioli and performed by Laura Landofi and Guglielmo Fulvi in the January of 2022 (Mattioli Collection)

DODO (Collezione Finelli, distrutto dalla coda iconoclasta dallo stesso soggetto dell’opera)

DODO (Finelli Collection, pulverised by the iconoclastic tail of the same subject)

SKATEBOARD RING, l’unica opera con una vezzosa utilità tutta da dimostrare.

SKATEBOARD RING, the only item made that could not be completely pointless, rather soooo charming.

Struttura a traliccio, gru o cancro.

Freehand lattice structure, a crane or a cancer.

L’onnipotenza di ricreare le strie di accrescimento dei molluschi.

The power to recreate the strias of shells and mussels.

Acrilonitrile butadiene stirene e incenso sembrano fatti l’uno per l’altro! Uno sa di polimero, l’altro di natività.

Acrylonitrile butadiene styrene and incense get along so nicely! One smells of polymer one of nativity.

CODICI – IL TANGRAM POLITICO A TAGLIO TERMICO

Procedendo verso i templi khmer di Casacalenda insieme ad altri creative manager stipati in un pulmino-magnetofono VW T4 superNagra per appropriarci di un motivo profano suonato col bufù o con pellicole sensibili al DSM-5 – erano i giorni nei quali la Cassazione, in contrasto con la scienza ufficiale, esprimeva un deciso riconoscimento della sindrome da alienazione parentale – non faccio altro che saccheggiare codici che appartengono all’altro.

In un particolare istante rubo ai bambini i loro giochi e ai malati le loro terapie senza esprimere alcuna debolezza del ringraziare. Una sopravvivenza di antropologia culturale individua una delle testimonianze di questo colonialismo interno – l’illusione dello studio delle classi dominanti – nel TANGRAM POLITICO A TAGLIO TERMICO – Giochi, alluminio e malattie.

Piuttosto che in figure come: l’elefante; il gatto; l’uomo a cavallo; etc; dell’originale, quello a taglio termico si combina per formulare codici politici, sociali e dell’inconscio:

  • STILL/STABILITY
  • OPPORTUNITIES (LAND OF)
  • TIGHTER OPPORTUNITIES (LAND OF)
  • FULL/INSANITY/GO OFF
  • MYSTICISM/ASCENT TO GOD/HYPOGLYCEMIC CRISIS
  • DESCENT TO HELL/HOME VIOLENCE
  • THE PERSISTENCE OF MEMORY
  • STABILITY IN A MORE DYNAMIC WAY
  • STANCE/PRIDE
  • FAMILY
  • BOURGEOISE AIM TO PURITY

Poi per favore quando hai finito con le reliquie rimettile nel reliquiario insieme al chiodo della croce.

UN CINGHIALE IN CASA! – animali in filo di ferro

Dopo il successo di Ludmilla, la coccinella mangiaplastica, il bestiario dei Volontari del Decoro del 13° Municipio di Roma si è arricchito di un altro animale, Pasquale, stavolta onnivoro, dedicato alla raccolta dell’indifferenziata all’interno della Pineta Sacchetti.

Due sezioni longitudinali legate per il naso faranno il cinghiale

Dal punto di vista costruttivo ho scelto un approccio diverso, cominciando con delle sezioni longitudinali che già fornivano una forma dell’animale e soprattutto quella caratteristica del muso. Tuttavia il lavoro è più agevole con sezioni trasversali, tipo ordinate, tenendo presente che è fondamentale NON CHIUDERE le sezioni, lasciandole quindi ad arco, perché le torsioni quando si svolge la matassa di filo rimangono sempre, dando luogo in un cerchio completo a deformazioni indesiderate.

La differenza tra un cinghiale sordo e un cinghiale che ascolta quello che gli sussurri

Ovviamente la forma più complessa ha richiesto un maggior numero di ore di lavoro. Alcuni dettagli devono essere realizzati separatamente, le 4 zampe, le orecchie. Ho anche voluto provare una livrea più realistica, con ombre spray.

Se la coccinella Ludmilla presenta una parte piana che la rende facilmente spalleggiabile con cinghie, il quadrupede Pasquale si presta meglio alla ruota, tanto che ha un carrellino tutto suo con il vantaggio di poter ospitare anche messaggi. Come macchina teatrale poi può anche fare dei suoni, in fiocchi di filastrocche, tipo

Ed ecco che arriva Pasquale

Sembra proprio un vero cinghiale

Mette la sveglia alle 6 e mezza

Per rovistare nella mondezza

Ma poi la vita non è dura

Per chi vive di spazzatura

Dice: “Per me è colazione, ci pranzo e ci ceno”

E allora per favore fanne di meno!

Enrico Azzini per wildlifegossip

I DIAVOLI DEL GRAND PRIX di Roger Corman – Lotus 25, la prima monoscocca merita un film

“Ho trovato la mia macchina. E’ da scrivere.”

La Lotus 25 di Jim Clark durante le riprese al Gran Premio del Belgio, che segnerà la prima vittoria per entrambi.

Il pilota di automobile non sarebbe che… vediamo… un… un… un torero della meccanica. Ma che bella metafora, eh? La sceneggiatura di Robert Campbell infatti prevedeva una storia ambientata nel mondo delle corride, poi Roger Corman decise di aggiornarla. Per la produzione dell’AIP, Corman riunì il suo ensemble, facendo leva sul fatto che nessuno avrebbe rifiutato di starsene in giro per l’Europa a fare cinema, anche a costo zero. Un ventitreenne Francis Ford Coppola fece da aiuto regista, macchinista e fonico. Già che era in Europa Corman ne volle approfittare per girare un film suo e dopo le riprese del GP di Gran Bretagna ad Aintree se ne andò a Dublino delegando però sceneggiatura e regia a Coppola, che siglò Dementia 13 (Terrore alla tredicesima ora). Aveva voglia di staccare e se ne andò in Unione Sovietica.

In I diavoli del Grand Prix Corman imprime il suo sigillo, sia di linguaggio, riempiendo tutti i piani dell’inquadratura (la composizione della piramide umana al lido a Montecarlo sullo sfondo, per esempio) che tematici, marchi lasciati dall’exploitation e dal lungo ciclo dedicato a Poe, come l’amore al cimitero, che poi raggiungerà con I selvaggi (The wild angels, 1966) il vertice della blasfemia.

Trevor Taylor, seconda guida Lotus-Climax, con la vecchia 24 sempre al GP del Belgio.

I protagonisti interpretano i piloti della Lotus, che nel ’62 schierava Jim Clark e Trevor Taylor. Il patron non assomiglia a Colin Chapman, che invece trova un suo sosia in un precedente cornuto manipolatore e pieno di rancore, Sir William Dragonet. In maniera assolutamente involontaria Corman registra una delle stagioni più importanti della Formula 1, con il debutto della 25, la prima monoposto monoscocca, che rappresentò la definitiva consacrazione del talento di Chapman. La 25 non rimpiazzò completamente la precedente così che Joe Machin è sì doppiato dal pilota di punta Jim Clark mentre Trevor Taylor, con la 24 e l’inconfondibile casco giallo, guida per l’antagonista Steve Children. La 24 col tradizionale telaio a traliccio infatti assolveva, nei piani di Chapman per il ’62, due ruoli. Era una vettura decente che garantiva dal fallimento della 25, soprattutto per i numerosi clienti privati indispensabili a dar respiro finanziario a Cheshunt, e inoltre poteva rappresentare il banco di prova per qualcosa di straordinariamente innovativo. Nel flusso aerodinamico, la grande svolta era avvenuta con la 21 per la stagione 1961, quando la sospensione anteriore era stata ripulita dal gruppo molla-ammortizzatore, ora portato all’interno. E dietro il semiasse aveva smesso di costituire un elemento della sospensione per sostenere i carichi laterali, una delle semplificazioni chapmaniane sia sulla serie che sulle vetture da corsa, ma ormai giunta al limite. A dare una spinta decisiva a quel meraviglioso pacchetto che fu la 25 era stato il regolamento entrato in vigore proprio nel ’61, con l’introduzione in Formula 1 del 1500 aspirato. I costruttori inglesi si erano illusi di una proroga del 2 litri e mezzo, tanto che, a corto di motoristi, dovettero recuperare l’ormai sfiancato 4 cilindri Coventry Climax FPF. Ovviamente a Coventry stavano lavorando per fornire uno strumento per lottare ad armi pari contro l’8 cilindri Ferrari, ma Chapman non era di buon umore: i rapporti tra Lotus e Climax avevano toccato il punto più basso soprattutto per l’insoddifacente qualità dell’FWE per la Elite ed era sicuro che la precedenza per il nuovo propulsore sarebbe andata a Cooper, Lola e le monoposto schierate da Rob Walker per Moss, cosa che regolarmente avvenne. Grazie all’intercessione della Esso e all’uscita di scena della Elite il nuovo 8 cilindri FWMV fu disponibile anche a Cheshunt, ma il fatto che sviluppasse un centinaio di cavalli in meno rispetto ai due litri e mezzo costringeva a quel lavoro di ottimizzazione di ogni dettaglio che era stato avviato con la 21. Dopo una stagione dominata dalle Ferrari di Phil Hill e di Von Trips la lotta per il titolo 1962 fu una questione tutta britannica.

Nonostante sia ricordato come regista spiccio, da due settimane di riprese a basso budget, agli inizi degli anni ’60 Corman cominciò ad interessarsi alla psicoanalisi. Freud si incrociava con Edgar Allan Poe, che lo aveva sempre affascinato e al quale dedicò un ampio ciclo – recuperando più o meno sempre gli stessi set – con 8 film tra il 1960 e il 1964. L’attenzione all’inconscio attraverserà poi tutta la produzione, e anche in I diavoli del Grand Prix il protagonista ricorre al sogno per esprimere le sue paure, lui su una vettura bianca che corre dove altre sette vetture ma nere stanno convergendo, inevitabile lo scontro fatale. (Enrico Azzini)

Il film copre cinque Gran Premi europei, in un periodo che va dai primi di giugno alla seconda metà di luglio. Comincia a Monaco con una gara che nella realtà fu addirittura più drammatica della finzione. Nell’incidente innescato prima del tornantino del Gazometro la ruota posteriore di Ginther schizzò fuori pista, uccidendo un commissario di percorso. Primo a tagliare il traguardo Bruce McLaren con la Cooper Climax, alle sue spalle la coppia Ferrari con Phil Hill e Bandini. Il Gran Premio del Belgio a Spa fu quello nel quale Jim Clark ottenne la sua prima vittoria, insieme a quella della 25, seguito dai due Hill, Graham con la BRM e Phil con la Ferrari. Le riprese poi si trasferirono in Francia per una corsa non titolata a Reims, vinta da McLaren davanti a Graham Hill con la BRM e Innes Ireland con la Lotus 24. Poi fu la volta di Rouen, questa valida per il Mondiale, con i suoi pittoreschi paddock nell’erba, al limitar del bosco. In una gara nella quale le Ferrari erano assenti per uno sciopero degli operai e le vetture inglesi di vertice furono afflitte da problemi meccanici, l’americano Dan Gurney riuscì a dare alla Porsche la prima e unica vittoria in F 1 a bordo della 804, una monoposto che incarnava tutto lo spirito del Marchio tedesco, motore boxer 8 cilindri, raffreddamento ad aria forzata e sospensioni a barre di torsione. Il film si conclude ad Aintree per il Gran Premio d’Inghilterra, nel quale Clark conquista ancora un successo staccando nettamente Surtees con la Lola-Climax e McLaren con la Cooper. Tuttavia sarà Graham Hill con la BRM, che realizzava in casa anche i suoi V8, ad aggiudicarsi il titolo.

Nel ’63, quando poi il film uscì nelle sale, la 25 annientò la concorrenza e Jim Clark conquistò il suo primo titolo mondiale. La validità del progetto fu indiscutibile, tanto che la squadra ufficiale la schierò fino al ’65, quando Clark fu di nuovo campione.

FONTI:

Roger Corman (con Jim Jerome, traduzione di Giovanna Pecoraro), Come ho fatto cento film a Hollywood senza mai perdere un dollaro, Lindau, 1998, Torino.

Robin Read, Colin Chapman’s Lotus, Haynes, 1989, Yeovil.

INTORNO ALLA PINETA SACCHETTI E ALLA BIBLIOTECA CASA DEL PARCO

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